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Che lezione di canto, diavolo d’un Bergonzi
Da Verdi a Lehar, recital trascinante per una voce impeccabile

di: Domizia Carafòli 
Mercoledì 27 ottobre 1993

Il tenore trionfa alla Scala nel concerto d’addio

Al concerto di una “vecchia gloria” ci si avvia sempre in un’altalena, in fondo sgradevole, di sentimenti che vanno dalla venerazione per il grande interprete al disagio di fronte all’inevitabile decadenza.
Poi arriva Carlo Bergonzi - diavolo di un bussetano - e a 69 anni suonati ti strega una platea come quella della Scala e ti manda a casa duemila persone con le palme rosse e gonfie a furia di battimani: due ore di concerto e quasi tre quarti d’ora di bis, scanditi da applausi che sembravano non voler finire mai.
E lui, sornione, rivolto a Carlo Fontana: “Ti è piaciuta l’audizione, sovrintendente? Pensi che avrò qualche speranza per questo teatro?”.
Questo è stato lunedì sera il concerto di addio di Carlo Bergonzi al pubblico italiano, un concerto proposto tempo fa dall’allora direttore artistico Alberto Zedda e accolto con entusiasmo da Fontana che ha potuto così offrire alla platea milanese non soltanto una suggestiva rassegna di arie d’opera ma soprattutto una magistrale lezione di canto.
Non si arriva, come Bergonzi, alle soglie dei 70 anni con questi suoi pieni e rotondi, questa eleganza di fraseggio, questo splendore argenteo degli acuti, questi impeccabili passaggi di registro, sostenuti da in fiato prodigioso, senza una dedizione commovente e totale alla propria vocazione, una continua, spietata verifica di se stesso, una grande pazienza e un grande amore.
E mentre l’ascoltatore riandava con la mente immalinconita alle tante agre vocette tenorili che gli tocca ascoltare qua e là, sempre nella inquieta attesa del fatale momento in cui il corto fiato del canterino si spezzerà, eccolo là il tenore che ha alle spalle 45 anni di carriera giocata avendo il mondo come palcoscenico, eccolo là ad offrire il dono insperato del canto, del canto vero, nobile e puro.
Per tornare alla Scala dopo dieci anni dall’ultimo concerto Bergonzi non ha scelto un programma facile, aprendo con tre canzoni di Verdi e chiudendo sempre nel segno del grande conterraneo con l’ardua aria di Rodolfo in Luisa Miller: “Quando le sere al placido”.
E passando da Verdi a Verdi, Bergonzi ha ricordato agli immemori come si interpretano Donizetti e Rossini e Schubert e il Boito ardente del Mefistofele e le malinconie di Tosti e le dolcezze di Lehar, sempre seguendo il filo luminoso del pianoforte di Vincent Scalera. “Sono commosso - ha detto Bergonzi al termine del concerto - chiudere il sipario della propria carriera alla Scala è il sogno di ogni cantante”.
Ma dalla Scala, Bergonzi riparte per una lunga tournée che si concluderà in primavera alla Carnegie Hall di New York. E chissà che tornando da New York non ripassi da Milano. “No - dichiara lui deciso - per il pubblico italiano ho finito di cantare”. Forse, con giusto orgoglio di artista, vuole lasciarlo prima che l’ombra del declino lo sfiori.
Ma ciò non toglie che lunedì sera duemila persone abbiano sperato che il suo addio possa trasformarsi in un arrivederci.

 


Data di creazione: 30/03/2005
Data di modifica: 05/04/2005
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