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In occasione del "Verdi d'Oro"
In occasione del "Verdi d'Oro"

Discorso di Rodolfo Celletti
in occasione della consegna del premio
“Verdi d’oro - Città di Busseto” a Carlo Bergonzi

3 MAGGIO 1972

Rodolfo Celletti, il musicologo delle voci d’oro, prima della premiazione pronunciò le seguenti parole:

Ritengo per me un grande privilegio parlare di Carlo Bergonzi a Busseto. Parlare di Carlo Bergonzi a Busseto non significa però presentare Bergonzi ai bussetani, i quali lo conoscono già; non significa nemmeno aprire un discorso tecnico, Dio me ne guardi!
E allora con una dichiarazione che forse un critico non dovrebbe fare, io comincio col dire: Bergonzi è oggi il mio tenore personale, il mio preferito. Il mio accostamento a Bergonzi è avvenuto così: prima una grande sorpresa nel sentire cantare così bene, una sopresa, direi, di carattere tecnico; e poi, una volta capita la tecnica, anche l’affetto per l’interprete. Perché mi piace Bergonzi? Semplicissimo: perché canta.
Debbo fare una precisazione: per me i cantanti si dividono in cantanti che cantano e cantanti che non cantano. Bergonzi è un cantante che canta. Per me il canto di Bergonzi significa questo anzitutto: facilità, spontaneità; ma spontaneità controllata, vigilata dalla mente e dalla sua bella respirazione, per cui porge il periodo e il fraseggio come su un piatto d’argento. E tutto ciò prima ancora che una questione di cuore o di cervello, è una questione tecnica.
Credo che una delle armi segrete di Bergonzi sia la meravigliosa respirazione, che, poi, nell’arte del cantante, è almeno il sessanta per cento. Nessuna ruvidezza, tutto scorrevole, limpido; e questa è la parte formale. Poi c’è la parte sostanziale. Giustamente si dà a Bergonzi questa sera il Verdi d’oro: é un vero grande cantante verdiano, che ha perfettamente capito che cos’è Verdi. Verdi non significa rovesciare tonnellate di voce sul pubblico, oltre l’orchestra. A parte il fatto che chi tenta di rovesciare tonnellate di voce oltre l’orchestra, normalmente non riesce a superarla.
Ma questo è un altro discorso. Verdi significa soprattutto accento e colore. Bergonzi ha il vero accento verdiano. L’accento verdiano non consiste nel premere sulle consonanti, né nell’appoggiarsi spasmodicamente sulle note, né nel farsi diventare le corde del collo grosse come corde, quando si fa un acuto. Bergonzi ha un accento verdiano spontaneo e da qui si sente che è nato a Busseto. Basta sentire l’attacco di Bergonzi di una romanza verdiana: entra nel clima immediatamente, sin dalle prime battute. Poi la sua maniera di dire i recitativi e sopratutto la sua nobiltà; Bergonzi ha un accento verdiano molto vibrante, ma non è mai enfatico.
Anche qui c’è un equivoco: a volte si pensa che per cantare Verdi occorre essere enfatici, retorici. Bergonzi no, Bergonzi vibra, è nobile, non è retorico, non è enfatico.
E poi possiede la qualità più rara in un cantante, ma anche la più preziosa in un cantante verdiano: i colori, le smorzature. Verdi è stato il compositore che ha usato di più l’indicazione “piano” e “pianissimo”; tre p, quattro p è arrivato a scrivere. Io raramente riesco a sentire nelle esecuzioni verdiane, non dico i quattro p, nemmeno i tre, nemmeno i due, nemmeno mezzo, spesso! Bergonzi è un tenore che nel finale del Ballo in maschera fila un si bemolle. Non lo fa per virtuosismo, lo fa perché Verdi l’ha scritto.
Quindi lo fa con la massima semplicità, senza nessuna ostentazione, con la sicurezza che gli deriva dall’essere - e con questo chiudo - uno dei più grandi maestri di canto che io abbia mai ascoltato e conosciuto.

 


Data di creazione: 31/03/2005
Data di modifica: 31/03/2005
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