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Questa sera una nuova Aida apre il cartellone lirico della Scala di Milano

Radames, alias Bergonzi

II più verdiano dei tenori: «Zeffirelli è un genio»

 

Di Paola Brianti

7 dicembre 2006

 

A Busseto nel 2001 era stata quella "piccola piccola". Alla Scala di Milano questa sera sarà quella più nuova, più grande, più esoterica e magica. Il soggetto è sempre lei, celeste e intramontabile Aida, il regista pure, Franco Zeffirelli. Alla "prima" sarà presente anche Carlo Bergonzi da Vidalenzo, "tenore verdiano per eccellenza" recitano le enciclopedie. Lui, che in molti definiscono il vero Radames, quasi che la partitura di questo melodramma sia instillata goccia a goccia nel suo sangue di tenore. E allora è al Radames più vero della storia della musica che chiediamo di parlare di questa Aida scaligera e di tanto altro, perché chi lo conosce sa quanto ami conversare.

Mancano poche ore al debutto dell’Aida zeffirelliana, un ritorno alla Scala del regista dopo quattordici anni d'assenza. Che cosa si aspetta?

«Applausi e un successo pieno, totale: Zeffirelli è un genio e ho piena fiducia in lui. Sa mantenere la tradizione dove serve e migliorarla quando serve perché conosce e adora la lirica. Con lui, nell'aprile del'63 alla Scala ho fatto forse la più bella Aida della mia vita. Sul podio Gianandrea Gavazzeni, costumi della De Nobili, scenografa straordinaria. Indimenticabile».

E di Roberto Alagna, scelto per essere Radames?

«L'ho sentito al Metropolitan e ha una voce morbida e ampia, di un certo spessore, non una vocina. Inoltre è intelligente e sono certo che se ha accettato la parte l'ha fatto perché può. Mica si può salire sul palco della Scala e dire "provo e vedo come va". Comunque il clima è caldo, non si sentono critiche e se ci fosse qualcosa che non va le assicuro che dal coro o dall'orchestra sarebbero usciti sibili o lamentele. Comunque Radames è un ruolo difficile, servono il colore, il fraseggio, serve tutto Verdi».

Passiamo a Parma, con La pietra del paragone e Michele Pertusi, un suo allievo. Qualche consiglio da dare?

«Nessuno. E’ serio, si è affermato ovunque, ne parlano come di uno dei migliori bassi al mondo e già allora quando l'ho fatto debuttare a Busseto in Luisa Miller era un talento, ma soprattutto un cantante con la voglia di studiare, non di fare successo in fretta. Stava ai consigli che gli davo e mi chiedeva sempre se poteva inserire in repertorio un nuovo ruolo. Non ha paura dei sacrifici e questa è una carriera tutta in salita. Chi non ci sta diventa una meteora del canto, un giorno è all'Arena di Verona e poi più nulla, rovinato dalla fretta, dalla cupidigia, dal desiderio di guidare una Ferrari. Colpa anche dei sovrintendenti: sentono un tenore leggero che ha il do e lo spediscono subito a fare il Trovatore, pronti via».

Qui tocchiamo un punto focale: in Stagione è inserito Otello e la paura che non ci sia un interprete adatto è il segno dei tempi

«So che il protagonista, Vladimir Galouzine, è uno dei più richiesti per quella parte, ma non l'ho mai sentito. Non dubito delle capacità del sovrintendente Meli e non credo che si sia buttato su un titolo tanto difficile senza avere un asso nella manica. Però è vero che di grandi Otello non ce ne sono più, l'ultimo è stato Domingo».

Non sarà che il pubblico a Parma è talebano e più duro che mai?

«Conosco bene i loggionisti che stanno lassù e assicuro che se non ci azzeccano al cento per cento è al novantanove. Poi sarebbe meglio non esagerare, con una contestazione si può anche rovinare un cantante che magari è solo fuori forma, meglio essere delicati. Ma sulla loro capacità di giudizio non scende ombra alcuna».

Con lei sbagliarono, era sempre l'Aida ma nel '59...

«Sì, ma non erano i parmigiani impreparati, era che il mondo non era pronto a una lettura tanto fedele del Maestro. Che indica pppp nel morendo di "Celeste Aida" e non il si bemolle finale forte come fan tutti».

Certo che Meli sarebbe più tranquillo se sul palco ci fosse lei, la consolazione dei sovrintendenti

«I tempi sono cambiati, oggi fanno i cantanti come gli anolini, in due anni chiunque è pronto ad aggiungere decine di ruoli in curriculum. Ma i Pertile non hanno mai fatto così. O i Beniamino Gigli: lui chiedeva persino un caffè con un biglietto per non rovinarsi la voce nel giorno della recita. L'ho imitato ed era la strada giusta. Come quella di pranzare come la Stignani alle 10 del mattino e rimanere digiuno sino all'ora di andare in scena. Anzi, mi ricordo un aneddoto: ero a Salisburgo per il Requiem con Karajan che fissò una prova al mattino. Io gli dissi che non potevo andare, dovevo pranzare. Il giorno della prova si presentarono tutti tranne me, i colleghi molto preoccupati dalla mia assenza. Ma Karajan con quell'accento tedescaccio che aveva, li rassicurò così: “Tranquilli, tranquilli, Bergonzi a quest'ora sta mangiando un filetto alla Bismarck"».

Lei ha lavorato con tutti i grandi. Renata Tebaldi, Renata Scotto, Tagliavini, Bechi e i direttori. Come ricorda Riccardo Muti?

«Un ottimo maestro concertatore, uno dei più grandi, ma scarso nello scegliere le voci, soprattutto quelle verdiane».

Qualcosa che oggi la infastidisce?

«Quando andavo in bicicletta a Vidalenzo, i contadini fischiettavano il Libiàm. Oggi a Chi vuol esser milionario chiedono chi ha scritto Traviata e nessuno risponde. Quando cantavo l'Arena di Verona faceva 25mila spettatori oggi 4mila spettatori per un'opera in piazza sono una fatica».

Il regalo che conserva più caramente.

«Un pezzo di ribalta del Metropolitan di New York, che con la Scala è il miglior palcoscenico del mondo».

Un Maestro come lei ha ancora qualche sogno da realizzare?

«Ormai non più, ho avuto gli applausi di tutto il mondo. Più che sogni mi sono rimaste ambizioni: plasmare cantanti veri, voci verdiane vellutate con corpo e colore giusto per il fraseggio. Ora che ho ottantadue anni dico che se potessi rifarei tutto. Meglio di quanto abbia fatto però».

Possibile fere meglio?

«Mah. Le assicuro che ci proverei».

 


Data di creazione: 25/01/2007
Data di modifica: 25/01/2007
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